Ho un amico che sempre mi dice che i cambiamenti ci portano delle nuove belle cose. Che finire oppure chiudere qualcosa ci da l’opportunità, il tempo e/o lo spazio di iniziarne di nuove. E sebbene so che lui e tanta altra gente importante nella mia vita, l’ho conosciuta grazie all’inizio di nuove cose, devo riconoscere che mi è sempre pesata una certa nostalgia del passato.
Durante gli ultimi due anni tornavo ogni giorno a casa in autobus con questo amico. Era il nostro momento: da Sant Roc (Badalona), il quartiere dove lavoravamo, a Barcelona. D’inverno vedevamo tramontare il sole al trotto di l’H10 mentre attraversavamo il fiume che divide entrambe le città. Qualche volta vedevamo un signore sulla Rambla Guipuzkoa che faceva dei meeting improvvisati davanti ad uno striscione bianco, mentre parlavamo dell’uso dello shampoo e dei saponi, dei gruppi notturni di riciclo del cibo, oppure delle difficoltà “dei nostri” bimbi/e della scuola, dell’impotenza che si sente quando si lavora in zone dove bimbe e bimbi crescono troppo velocemente, presi dalla violenza quotidiana di un ambiente troppo crudo e difficile da capire.
E certamente, parlavamo anche di noi. Nel viaggio in autobus non solo ci spostavamo fisicamente, si ritrovavamo anche le nostre realtà di vita al di fuori del lavoro.
Spesso condividevamo le nostre storie sulla complessità della convivenza, tanto con gente conosciuta come no. Una volta falliti entrambi progetti, un giorno mi chiese: vorresti che cerchiamo insieme una casa dove vivere? E io gli dico: mi spiace però devo dirti di no; ho deciso di andare via. Me ne vado a Milano per un’anno a fare un progetto SVE. E contento mi fa i suoi i migliori auguri. E un po’ delusi pensando alle sorti che avrebbe avuto l’avventura che con quel gesto avevamo precluso, sorridevamo sicuri di che la mia scelta era giusta e che mi aspettavano tante cose belle da scoprire.
E a settembre, dopo lunghe e molteplici chiusure, arrivavo a Milano. In aeroporto mi aspettava una ragazza che non avevo mai visto. Sapevo solo due cose di lei: che era serba e che dovevamo condividere la stanza e il lavoro 11 mesi, e senza esserci mai parlate prima!
Luogo nuovo, nuova gente e tante cose da conoscere. Però più che andare a trovare i posti più belli della città bisognava a costruire una nuova zona di confort, di sicurezza, e soprattutto una nuova casa, una llar, come si dice in catalano, qualcosa in più di che quattro muri, un letto, una cucina e dei coinquilini. Uno spazio caldo, di tranquillità, con della gente e degli amici; una nuova famiglia per questi mesi e spero che per un bel po’ di più. La città che mi ospitava per un’anno poteva aspettare.
Adesso, dopo un po’ di mesi, guardo accanto a me quando sono in autobus in ritorno a casa e vedo a Milica (la mia compagna serba), fa freddo e faccio fatica a farmi un buco tra le voluminose sciarpe che indosso, e ridiamo. Le strade della 93 mi fanno ricordare i viaggi con Carlos, e nostalgica le racconto le nostre conversazioni “da autobus”. Anzi non riesco a togliermi la nostalgia dal sorriso, sono contenta di poter parlare di questo, di chiacchierare, di parlare di scemenze, ma anche di condividere i nostri pensieri, sentieri e riflessioni, di scherzare su quello che solo noi possiamo capire; di avere una nuova complice. Contenta, non la riconosco più come quella sconosciuta dell’aeroporto. E mi chiedo curiosa a chi, fra qualche tempo, racconterò felice, dei viaggi sulla 93.
 
Febbraio 2018

Carnevale in famiglia
Parte della mia nuova famiglia